«Olisa fa un viaggio»: predicato nominale.

Riflettere sulla lingua oltre la grammatica tradizionale


Premessa

Siamo in seconda, una seconda in cui ci siamo accolti vicendevolmente solo quest’anno. Terreno fertile per lavorare, come avrei fatto anche se fossi subentrato in terza, con la grammatica valenziale. Si tratta non tanto di una scelta di moda, anche perché la mia grammatica valenziale è contaminata. Contaminata dalla linguistica tutta. Il primo esame del mio percorso formativo all’Università di Torino dal nome Fondamenti di linguistica è, oggi, l’esame più utile e necessario alla mediazione didattica nel processo di insegnamento e apprendimento che deve accompagnare i ragazzi e le ragazze a potenziare le loro competenze linguistiche e metalinguistiche.

Il primo piccolo passo, su cui di tanto in tanto torniamo, è un cambio di nome: niente ora di “grammatica”. Nelle mie classi si parla di “riflessione sulla lingua”, e nel riflettere sulla lingua, certamente, parliamo anche di grammatica della lingua italiana (e non solo). Questo nome ampia gli sguardi e allontana gli studenti dall’idea che maneggiare la lingua sia qualcosa di simile a “teoria, esercizi, verifica”. Riflettere sulla lingua è ben altro: teoria, esercizi e verifiche non mancheranno, ma la teoria si scopre attraverso un apprendimento induttivo, gli esercizi si costruiscono su ciò che si fa effettivamente in classe, le verifiche hanno la funzione di mettere a fuoco quanto appreso e di stimolare continuamente la riflessione linguistica e non si valutano con punteggi. Fondamentale - pian piano i ragazzi lo scopriranno - sarà l’argomentazione; dunque, non solo riconoscere, ma dire anche il perché si è riconosciuto un determinato aspetto della lingua.

Sono così genuini che neppure si accorgono di quante riflessioni linguistiche, anche non banali, portano avanti, pur commettendo errori: l’errore e il dubbio generano conoscenza. Proprio da questo è partita la nostra lezione sulla predicazione.

 

In classe

Nelle lezioni precedenti a quelle su cui mi concentrerò abbiamo introdotto il concetto di valenza attraverso la teatralizzazione dei verbi, riconoscendo quindi gli elementi essenziali alla messa in scena. Siamo andati proprio alle origini della grammatica valenziale. Tesnière lo afferma con fermezza e chiarezza didattica: il verbo mette in scena un petit drame, una piccola scena teatrale. Dunque, ricchi di questo nuovo bagaglio di saperi e riflessioni, lascio ai ragazzi e alle ragazze alcuni esercizi sul libro di testo. Benché l’opera di Rosetta Zordan sia concepita come una grammatica tradizionale offre alcune pagine iniziali sull’analisi della frase dal punto di vista della grammatica valenziale. (Detto tra parentesi: scientificamente è quello valido, non è valido quello della grammatica tradizionale che vede la frase minima come sola unione di soggetto e predicato. C’è un errore di semplificazione non banale, ma magari ne tratteremo altrove). Tornando all’esercizio assegnato, debbo rilevare di aver commesso un errore: non ho letto le frasi e mi sono limitato alla consegna. Ho trovato una sorpresa che non mi aspettavo: il cosiddetto predicato nominale.

 

Ecco l’esercizio.

R. Zordan, A rigor di logica. Sintassi, Rizzoli Education-Fabbri Editore, Milano, 2020, p. 14.


Giunti alla frase tre. Chi stava correggendo l’esercizio, anche con un po’ di fierezza, dice: «Essere qui è bivalente, “chi è” e “com’è”». Momento in cui mi dico in testa qualcosa come «Ca***, mo’ che faccio? Lascio perdere? Anticipo la riflessione sulla predicazione che avevo programmato successivamente?». Dubbi ed errori sono punti di partenza ottimi per riflettere sulla lingua. Cambio di programma. «Ragazzi, concludiamo la correzione dell’esercizio, poi torniamo sulla frase tre. Abbiamo bisogno di riflettere in modo più attento».

 

Riflettere sui verbi a partire dal loro peso semantico

Tutto parte da una domanda che ha tormentato e tormenta tutt’oggi soprattutto i filosofi: «Che cosa significa essere? Se ti dico Lara è e mi fermo lì, che cosa comunico?». Varie risposte: dico che Laura è in un luogo, dico che Lara è qualcosa. Risposte alle quali controbatto ponendo esempi contrastanti con la loro risposta. «Quindi essere significa tutto e niente», chiosa qualcuno. E quel qualcuno ha proprio ragione. Da solo, in solitudine, senza riferimenti altri, al di là del soggetto, non significa alcunché. Allora tiro una linea alla lavagna. Nel lato sinistro inserisco un meno, nel lato destro un più, sopra la linea scrivo «peso semantico»; dunque, chiedo loro di collocare il verbo essere su questa linea riflettendo sul suo «peso semantico», cioè sulla «quantità di significato che ha senza altri elementi». Risposta: «nessun significato». Allora, prendiamo in esame altri verbi e li collochiamo sulla linea. Quando siamo in dubbio, creiamo più frasi per farci l’idea e mettere a confronto le nostre opinioni. Riconosciamo così l’esistenza dei verbi copulativi e dei verbi predicativi: i primi hanno un peso semantico nullo o debole e necessitano di legarsi a un elemento nominale, mentre i secondi hanno un peso semantico più o meno forte ma comunque capaci di esprimere autonomamente il loro significato. In termini valenziali: di un verbo copulativo, senza l’ausilio della parte nominale, non posso immaginarmi il petit drame di cui parla Tesnière, di un verbo predicativo, invece, sì. Arriviamo, così a dirci, che non potremo definire la valenza di essere, ma possiamo definire la valenza dell’unità verbale nominale costituita da essere e dal nome, aggettivo o pronome che lo accompagna: in frasi come Kemal è pieno di gioia, abbiamo un’unità verbale nominale – è pieno di gioia – bivalente (chi è pieno? di che cosa è pieno?).

 

Riflettere sulla predicazione verbale e nominale

Definito, per via induttiva, il soggetto come «il primo elemento a cui si riferisce il verbo» e gli oggetti diretti e indiretti come «i secondi elementi a cui si riferisce il verbo». Abbiamo provato a capire che cosa significasse predicazione: «ciò che è detto del soggetto». Quando dico “Abbiamo provato a capire” significa che, con alcune frasi davanti, abbiamo negoziato la teoria a partire da riflessioni e osservazioni. A questo punto scrivo alla lavagna quattro frasi:

1)    Lucia cancella una parola.

2)    L’Italia è una penisola.

3)    Denise sembra curiosa.

4)    Tecla ha dato un consiglio a Sara.

Chiedo ai ragazzi quale sia l’elemento che, in modo più pregnante, dice qualcosa del soggetto. Vanno lisci, senza troppi dubbi, naturalmente. E lo fanno perché si basano solo su quella grammatica implicita su cui, anche secondo le Indicazioni Nazionali, bisognerebbe far spesso leva.

1)    Lucia cancella una parola. Perché è il verbo che ci fa capire cosa accade.

2)    L’Italia è una penisola. Perché “penisola” ci dice qualcosa dell’Italia.

3)    Denise sembra curiosa. Perché “curiosa” ci informa di qualcosa su Denise, “sembra” ci dice poco, l’informazione vera è data da “curiosa”.

4)    Tecla ha dato un consiglio a Sara. “Consiglio” perché altrimenti non si capirebbe che succede.


Lavagna del giorno in cui si è svolta la lezione, ottobre 2023

E accade qualcosa di molto simpatico, curioso, geniale dal punto di vista linguistico. Un ragazzo con DSA si ribella all’ultima frase, sostenendo che fosse dare a dire ciò che accadeva: Tecla, infatti, “dà”, prende e porta a Sara un qualcosa, che in questo caso è il “coniglio”. La ricchezza della diversità. Saltare quella sibilante ci ha permesso di parlare di verbi supporto. Allora abbiamo scritto entrambe le frasi alla lavagna: 1) “Tecla ha dato un consiglio a Sara” e 2) “Tecla ha dato un coniglio a Sara”. Nella prima la scena è quella del consigliare, nella seconda la scena è quella del dare. Nella frase numero uno il verbo dare supporta il nome consiglio. Si tratta quindi di una forma di predicazione nominale.

Infine, abbiamo dato queste definizioni:

 

Ci siamo poi soffermati sulla predicazione nominale, notando differenze tra è una penisola, sembra curiosa, ha dato un consiglio. Dalla riflessione su diverse frasi, siamo giunti a riconoscere i diversi tipi di predicati, che abbiamo poi sintetizzato in uno schema di sintesi.

  

Diapositiva tratta dalla dispensa Grammatica valenziale. Al cuore della sintassi presentata e resa disponibile agli studenti alla fine dell’intero percorso; quanto ciò che qui è presentato era già stato maneggiato, osservato e riflettuto con ragazzi e ragazze.

I verbi supporto e falsi complementi oggetti

Il concetto di verbo supporto e l’analisi di frasi come «Olisa fa un viaggio»1 come predicazione nominale apre una grande questione e una frattura significativa con la grammatica tradizionale. Quest’ultima non avrebbe dubbi: «Olisa» è soggetto, «fa» è predicato verbale e «un viaggio» è un complemento oggetto. La frattura è così grande perché ciò che spesso chiamiamo sintassi nella didattica della lingua italiana in realtà non lo è o, almeno, lo è solo in parte: la cosiddetta classificazione dei complementi (termine altamente improprio, etimologicamente parlando) e dei predicati aspetta più alla semantica che alla sintassi. Infatti, la sintassi ha come campo di studio la struttura della frase, la semantica i suoi significati. Di sintassi – quella vera – i nostri libri di testo sono davvero poveri. Nell’esempio riportato – Olisa fa un viaggio – il fulcro della frase, che a scuola diciamo sempre e correttamente essere il predicato, non è fa ma è un viaggio, senza di quello è impensabile immaginarsi quanto la frase vuole comunicare. Cosa diversa, invece, è una frase come Olisa fa un vaso» in cui il verbo fare ha valore proprio, «costruire».

 

I verbi supporto, in tutte le lingue, si classificano spesso come light verb, cioè come verbi leggeri la cui gamma di significati è assolutamente ampia e generica. Così li definisce Bruering: «The defining property of a light verb construction is that the verb contributes relatively little to the meaning, while its complement, an NP in the examples above, provides the bulk of the semantics. So, for example, take a look at is more or less equivalent to the simple verb look at.» (Bruering,  2016). Proprio per il fatto che i light verb contribuiscono relativamente poco al significato veicolato dalla frase, quando questi sono verbi predicativi spostano il loro baricentro predicativo sul nome, come ben sottolinea Cristina De Santis nel suo agile, chiaro e sintetico La sintassi della frase semplice. Si tratta di una forma di semplificazione linguistica che sta avvicinando l’italiano, probabilmente per un fenomeno di adstrato, a costrutti molto simili ai phrasal verb inglesi:2 «Lo sviluppo delle costruzioni a verbo supporto, che spostano il baricentro predicativo sul nome e consentono di aggirare le difficoltà di coniugazione grazie al ricorso a verbi di alta frequenza, è uno dei tratti distintivi dell’italiano contemporaneo» (De Santis, 2021).

Note

(1) Se qualcuno si è chiesto il perché di questo nome inconsueto,  di origine centrafricana che significa «che Dio ti protegga».  Spesso nella creazione di esempi cerco di offrire frasi che distruggano stereotipi  di ogni genere: potremmo dire che cerco di formulare esempi intersezionali, contro gli stereotipi.
(2) La conclusione vuole essere uno spunto di approfondimento personale per noi docenti, che è possibile affrontare con ragazzi che abbiamo alta consapevolezza delle due lingue; pertanto, sarebbe più opportuno un lavoro del genere durante i gradi successivi. Di seguito elenco alcune riflessioni che mi conducono ad affermare quanto scritto. L’uso sempre più frequente dei verbi supporto è un fenomeno variegato; tra le cause si possono mettere in evidenza quattro aspetti: 1) l’inglese come lingua di prestigio nell’ambito lavorativo, basti vedere l’elevato numero di anglicismi che costellano le lingue specifiche; 2) la frequentazione, soprattutto da parte delle giovani generazioni, della lingua inglese in contesti digitali come i social network; 3) la fruizione di film e serie TV in lingua originale con e senza sottotitoli da un numero sempre più crescente di persone; 4) la diminuzione del grado di sanzionabilità dei costrutti con verbo supporto che presentano la possibilità di espressione con verbo predicativo, ad esempio fare un viaggio e viaggiare.

 

Per le riflessioni inserite in nota ringrazio Arianna Fontanot, collega e amica con cui è sempre bello discutere di linguistica e letteratura.  

 

Bibliografia

Autore - Alessio Trevisan
Insegnante di Scuola secondaria di Primo Grado a Settimo Torinese.


Data di pubblicazione - 28 marzo 2023