"Ho un problema".

Valutazione, democrazia e partecipazione.


Dentro la storia 

14 febbraio 2024. Siamo in 1A. I ragazzi e le ragazze devono svolgere una prova di verifica di storia. Abbiamo lavorato sull’esposizione scritta di un argomento, abbiamo ragionato tanto sulle carte e sulla visualizzazione di ciò che accade nella Storia, stiamo iniziando a familiarizzare sempre più con le fonti. Nella prova di verifica c’era tutto questo, con richieste diverse. L’ultima domanda recitava così: «Racconta come ti sei preparato alla verifica: cos’hai fatto, come hai studiato. Ripensa ai singoli passaggi e non essere generico». Una sorta di allenamento a rileggere sé stessi e i processi di apprendimento, via via amplieremo e approfondiremo. Per ora l’importante è focalizzarsi sui passaggi, su ciò che si è fatto. Arriveremo a dire che cosa fa la nostra mente nel corso del triennio.

Fino alla fase progettuale, tutto limpido. Qualcosa cambia sempre quando il progetto si fa realtà. Arrivo in classe, distribuisco le verifiche. Noto subito Giorgio in prima fila osservare le parole come se fossero qualcosa di sconosciuto.

«Giorgio, hai studiato?». «Un po’, ho letto». Mia tipica faccia da «Su, dai, non ce la contiamo e diciamoci la verità, perché se partiamo dalla realtà troviamo soluzioni (forse)». Il silenzio e il sorriso di Giorgio dicono che probabilmente non sapeva neppure quali fossero gli argomenti da studiare, per quanto durante le lezioni abbia provato a stare attento, a farsi coinvolgere nelle teatralizzazioni e nelle esperienze proposte.
Che fare? Recupero tre libri di testo e li apro sul banco di Giorgio alle pagine contenenti le mappe di sintesi poste alla fine dei capitoli su cui avevamo lavorato. Chiedo a Giorgio di lavorare tenendo le mappe davanti, consultandole e ragionando. Se neppure così fosse stato sufficiente per rispondere alle richieste della verifica, avrebbe potuto sfogliare il libro. Mentre i ragazzi lavorano, inizia a sorgere in me una domanda: come lo valuto?. Il perché, invece, era chiaro: per descrivere il reale, per dire che cosa potrebbe fare per raggiungere gli obiettivi. Insomma: valuto per trasformare e accompagnare un cambiamento.

Conclusa la prova dopo due ore, ne rimaneva una terza. Avremmo dovuto capire perché esiste una predicazione nominale e una predicazione verbale ragionando sui verbi predicativi e copulativi. Lascio perdere, rimando al giorno dopo. Mi rivolgo ai ragazzi e alle ragazze più o meno così: «Ho un problema. Provate a darmi una mano a risolverlo. Giorgio ha fatto la prova con il libro e probabilmente prenderà una sufficienza. Altri, invece, potrebbero prendere l’insufficienza perché non sono riusciti a studiare nel modo corretto, perché hanno faticato. È giusto?». Coro di no. Coro partito principalmente da Giorgio, molto consapevole di sé e di ciò che fa e non fa. Erano, però, tutti d’accordo con me sul fatto che sia stato utile lasciare il libro a Giorgio per svolgere la verifica, perché almeno ha lavorato due ore in classe, sostanzialmente studiando. Allora, torno con loro su una discussione aperta verso la fine del quadrimestre: come valutiamo? con quali strumenti valutiamo? con i voti? con i voti insieme a giudizi descrittivi? con i soli giudizi descrittivi? Perché una delle soluzioni avanzate è stata proprio quella di valutare descrivendo come ha lavorato Giorgio e come ha lavorato ciascuno. Si anima così una discussione. Alla 1A piace tanto discutere, qualche volta me lo chiedono direttamente: “Professore, oggi parliamo di qualcosa? Discutiamo di qualcosa?”. Eccoli accontentati. Si rispondono, si rinfacciano le tesi e gli argomenti. Ad un certo punto dico loro che è necessario fare sintesi e prendere una decisione. Alcuni dicono subito che dovrei essere io a scegliere, perché io sono il professore. Vero, verissimo. Allora scelgo: scelgo che siano loro a prendere questa decisione. Li ho visti abbastanza maturi per farlo. Una concreta esperienza di democrazia partecipativa. Ciascuno prende un foglio, un post-it, un ritaglio di quaderno e vota una delle tre opzioni:


Oltre all’espressione della preferenza, è chiesto a studenti e studentesse di scrivere una breve motivazione. Voto anche io: mi sento pienamente parte di questo gruppo. Risultati finali: nessuna preferenza per il solo numerico, 8 preferenze per voto numerico e giudizio descrittivo, 13 preferenze per il solo giudizio descrittivo.
In questo modo la sfida di una valutazione senza la tirannia del voto si apre pienamente. Fino a quel momento vivevo in un ibrido: giudizi descrittivi e uso di rubriche valutative per fare ciò che la valutazione educativa si prefiggeva. Poi, però, l'inserimento del voto numerico, posto anche dopo aver letto i giudizi, sembrava rovinare tutto, o almeno parte del lavoro. Perché? Lo dicevano anche i ragazzi e le ragazze: “Alla fine guardiamo il voto”. 

 

Ecco le loro parole, semplici ma capaci di cogliere in nuce le questioni più importanti relative alla valutazione educativa. 

Lavagna con le votazioni
Settimo Torinese I.C. "Settimo I", plesso Gobetti - 14/02/2023 - classe 1A

Oltre all’espressione della preferenza, è chiesto loro di scrivere una breve motivazione. Voto anche io: mi sento pienamente parte di questo gruppo. 

Risultati finali: nessuna preferenza per il solo numerico, 8 preferenze per voto numerico e giudizio descrittivo, 13 preferenze per il solo giudizio descrittivo.
In questo modo la sfida di una valutazione senza la tirannia del voto si apre pienamente. Fino a quel momento vivevo in un ibrido: giudizi descrittivi e uso di rubriche valutative per fare ciò che la valutazione educativa si prefiggeva. Poi, però, l'inserimento del voto numerico, posto anche dopo aver letto i giudizi, sembrava rovinare tutto, o almeno parte del lavoro. Perché? Lo dicevano anche i ragazzi e le ragazze: “Alla fine guardiamo il voto”. 

 

Ecco le loro parole, semplici ma capaci di cogliere in nuce le questioni più importanti relative alla valutazione educativa. 

Trascrizione delle motivazioni allegate alla preferenza espressa da ragazzi e ragazze
La numero 12 a favore del solo giudizio è del docente, prof. Alessio Trevisan 

Mettere il voto in pagella, cioè indicare il livello di competenze raggiunto nelle discipline dopo un percorso ampio, non sarà un problema. Ci sono strumenti che ci aiuteranno a fare il punto, a ripercorrere le tappe, a notare i passi in avanti, a vedere ciò che serve ancora fare per migliorarsi. I voti numerici saranno davvero simbolici ed esprimeranno un qualcosa di condiviso. Lavoreremo anche a questo con ragazzi e ragazze: dare significato al simbolo numerico. Gradualmente. 


Dietro la storia

Da ormai qualche anno sono convinto della validità della valutazione educativa per ragioni didattiche, sociali, culturali e politiche. Non ero però mai riuscito ad arrivare a questo punto di rottura con la tradizione del voto. I timori erano tanti (e non se ne sono andati via tutti!). Tuttavia, ritengo che, ad un certo punto, se la scelta di valutare in un certo modo tocca davvero la dimensione valoriale, io non possa fare diversamente. La goccia (positiva!) che ha fatto traboccare il vaso è stata la lezione dal titolo Tra "assessment" e "evaluation": la valutazione come processo di trasformazione e partecipazione democratica, tenuta da Cristiano Corsini per il primo Master in «Valutazione educativa e formativa per il miglioramento dei processi di insegnamento e apprendimento» dell’Università di Roma Tre. Non ho potuto ascoltarla in diretta perché mi trovavo a Londra per una sana pausa. Ma, il tempo di attesa in aeroporto mi ha permesso di recuperarla subito. Nel corso della lezione si è parlato di valutazione, democrazia, processi partecipativi, potere, politica, equità. Ad un certo punto ci si concentra su un lavoro redatto da Lee J. Cronbach, tra i più importanti psicopedagogisti del Novecento americano, e dal suo gruppo di ricerca. Si tratta delle Ninety-five Theses for Reforming Program Evaluation, titolo di voluta ispirazione luterana (clicca qui per il testo completo). La numero 93 recita così: «The evaluator is an educator; his success is to be judged by what others learn», cioè «Chi valuta è un educatore; il suo successo è giudicato sulla base di ciò che gli altri apprendono». Per me è stato uno di quei fulmini a ciel sereno, quelle teofanie medievali in cui bisogna scegliere seriamente: se chi valuta è un educatore, se il mio modello educativo vuole essere improntato alla libertà nei fini e dunque negli strumenti, allora, per forza, il voto numerico non è lo strumento adatto. Dietro la storia, quindi, per me c’è tutto questo: c’è la ricerca, c’è quell’atteggiamento scientifico di cui Ciari parla con acume nei primi capitoli del suo I modi dell’insegnare. Non si tratta di moda, non si tratta di emozioni. Si tratta di una scelta fondata su studio, riflessioni, evidenze prodotte da studi scientifici e pubblicati in letteratura. Si tratta di una scelta politica che vuole la scuola comunità educante, democratica e partecipativa. 

Da come si evince, le motivazioni profonde dietro alla valutazione educativa sono molte. Provo ad esprimerle, a conclusione di questo breve contributo, in modo sintetico attraverso quattro parole chiave. 

 

Per chi vuole approfondire: sei testi fondamentali sulla valutazione educativa e dintorni


Autore - Alessio Trevisan
Insegnante di Scuola secondaria di Primo Grado a Settimo Torinese


Data di pubblicazione - 18 febbraio 2024