Esplorare i testi attraverso i simboli

Con l’Edb di oggi vorrei portarvi il racconto del lavoro, o meglio di una piccola parte di esso, che sto svolgendo nelle ore di lettura con i ragazzi di seconda (e qualche timido tentativo anche con la prima).

PREMESSA

La classe seconda è l’anno in cui appare evidente come i ragazzi si aprano a una maggiore capacità di astrazione e analisi delle loro conoscenze, esperienze. Questo emerge soprattutto nell’approccio ai testi, in cui le scoperte tendono con sempre maggiore autonomia a farsi lettura profonda, punto di paragone, capacità di scorgere oltre il visibile. È il tempo giusto, dunque, per approfondire il valore simbolico che si cela in un testo narrativo. È infatti sulla lettura e analisi dei simboli in racconti di fiction e poesia epica che sto lavorando sempre più assiduamente. I ragazzi si sono dimostrati sin da subito molto intuitivi nell’individuare la presenza di un simbolo: qualcosa che riverbera ancora dentro di noi dopo la lettura, che lascia una domanda profonda, richiama a un altro significato, seppur ancora misterioso, difficile da interpretare nell’immediato. La fatica stava soprattutto nel trovare strategie affinché questa lettura profonda divenisse ordinata, visibile, replicabile. L’esigenza era quella di riuscire a fornire loro la cornice giusta entro la quale esercitare il loro ragionare sui simboli, che potesse essere graduale tanto nello svolgimento quanto nella scoperta. Senza svelare tutto e troppo. Una buona dose di domande ancora inesplorate lascia aperto il testo a nuove possibilità di indagine. Come a dire che un primo approccio al testo, condiviso, discusso, ha condotto a un’ipotesi supportata da richiami al testo più o meno evidenti (cosa so – come lo so; connessioni con altre esperienze), ma se ci tornassimo nuovamente potremmo integrare quel punto di arrivo con altri stimoli di esplorazione. Questo è ciò che desidero far conoscere ai ragazzi che si fanno comunità di lettori: che la lettura, in tutte le sue forme e sfaccettature, cela dentro di sé un segreto inesauribile, quel porto sepolto, cui accedere per riportare a galla un pezzetto e farne scoperta per noi e gli altri.

Nelle ore di lettura stiamo concludendo l’Odissea, che lascio in classe seconda perché mi permette un approfondimento sull’indagine del personaggio e della trama che trovo più interessanti a questo punto della loro esperienza di lettori.

RICHIAMO AL SIMBOLO

Il simbolo si presta bene a ciò che intendo dire. È un argomento complesso: simbolo e simbolico richiederebbero uno studio e una trattazione che non è possibile riportare in questa Edb, ma che rimando a un nostro studio personale. Qui vorrei raccontare solo un piccolo spunto così come è stato progettato e ha trovato la sua naturale evoluzione in classe, a lezione. Già in prima, nell’ambito della comunicazione (simboli intesi come segni), ma soprattutto nella lettura dell’Iliade, ne avevamo fatto un accenno. A partire dall’episodio di Glauco e Diomede, in particolare, avevamo conosciuto l’usanza di spezzare un oggetto semplice, ma carico di significato (che diviene dunque un simbolo), per suggellare un rapporto perenne fra le famiglie che avevano goduto l’una dell’ospitalità dell’altra o che avevano stretto patti, alleanze; era spesso un ceppo di legno o una pietra di media grandezza, ma numerose sono anche le attestazioni di tessere in terracotta o anelli. Le due metà avrebbero combaciato per sempre, in memoria di quel vincolo divenuto ormai sacro, protetto dagli dei. E nulla, neppure una guerra, neppure un esercito che infuria tutt’intorno, avrebbe potuto cancellarlo. C’è qualcosa di più grande, l’umano, la memoria dell’altro, la fedeltà a un patto reciproco, che si fa più forte di qualsiasi altra necessità contingente. E questo i Greci lo sapevano bene. Chi ascoltava il canto dei poemi omerici sentiva vibrare in sé l’appartenenza a quel sistema di valori, ne richiamava la memoria, lo ripassava sottovoce come una nenia che si ascolta da bambini e non si dimentica mai più. Rimane impresso nel loro essere uomini civili (tema che ci ha interrogato a lungo, riguardo ai simboli, come accennerò più avanti). Dunque il simbolo è ciò che si mette e tiene insieme, qualcosa che seppur diviso combacia, trova una sua nuova forma eppure richiama sempre l’originaria.

E così vale anche per i simboli testuali: cos’è un simbolo se non la capacità di riunire in sé tutto ciò che lo compone, le idee, i nuovi significati, i richiami a riti, usanze, valori, immagini radicate in una civiltà e che si fa nuovo a seconda di chi quel simbolo lo studia e interpreta? L’etimolgia, che arriva al verbo “συμβάλλω (symballo) non mente: “è formato da σύν «insieme» e βάλλω «gettare», avente il significato approssimativo di "mettere insieme" due parti distinte”.

Leggere un simbolo è quindi svestirlo dei suoi numerosi strati, connetterlo con l’esperienza di noi lettori contemporanei, ma nel caso dell’Odissea, ad esempio, anche con quella della civiltà che l’ha prodotto.

 

IN CLASSE: L’EPISODIO DI CIRCE

Come si traduce tutto questo nella nostra esperienza di lettori in classe? Solitamente nelle prime lezioni in cui leggiamo L’Odissea, lascio grande spazio a una parafrasi collettiva, in cui sezioniamo, quasi nel vero senso della parola, il testo alla scoperta di etimologie interessanti, costruzioni sintattiche che ci fanno scervellare, affondo su questioni grammaticali che stiamo trattando in quei mesi (che mano santa per l’interpretazione di pronomi, predicati nominali, predicativo del soggetto…! ma ne parleremo in un’altra occasione). Ma non solo: parole richiamano modi di dire, usanze, tradizioni. O ancora sfaccettature di un personaggio, il modo in cui viene presentato, le strategie di costruzione dell’eroe che gli aedi ci hanno consegnato (penso a quanto siamo stati sull’apparizione di Ulisse tra i Feaci, un capolavoro. È l’esempio perfetto dell’eroe che si manifesta e rivela in un crescendo, fino ad arrivare al prodigio vero e proprio. E abbiamo notato come questa costruzione ricorra ancora oggi in moltissime storie). La lettura deve divenire esperienza. Insomma, proviamo a godercela così.

Ora che la parafrasi è divenuta una routine di lettura e non solo un bel riordino sintattico, ho deciso di allentare in questo senso e concentrarmi ancora di più sul significato, dando una spinta alla lettura simbolica, dunque più astratta, complessa, al testo che leggiamo. Sento i ragazzi pronti per questo passo e dunque provo.

Lascio qui due esempi su cui ci siamo soffermati più diffusamente a lezione (dopo aver trattato già in questo senso le figure di Polifemo e  Nausicaa, come simboli di civiltà e bestialità): gli episodi di Circe e le Sirene. La lettura a questo punto si è fatta più scorrevole, pochi i punti su cui ci siamo soffermati, soprattutto lessicali, ma ormai la confidenza col testo poetico c’è, per cui non si sono posti particolari problemi in questo senso.

Dopo la lettura ho, come sempre, verificato la comprensione di entrambi gli episodi (parlo al plurale, ma sono stati letti in più sessioni di lettura differenti). Nel primo caso (Circe) si trattava di un adattamento in prosa (uno dei tre che solitamente uso nel percorso, sfruttando, per quel che posso, il libro in adozione). Assodata quella, si può proseguire e cominciare a scavare. Il testo è semplice, forse troppo. L’episodio di Circe, nella versione proposta, sembra quasi una bella favola (con tanto di riferimento alla maga, che richiama un senso di magico estraneo al poema omerico). Ho chiesto loro però di ricavare dal testo le informazioni con cui Circe ci viene presentata: dopo aver accennato ai suoi natali (Circe è figlia di Elio e della ninfa oceanina Perse) il primo elemento che si presenta al lettore è la voce. Un senso che non è la vista, come ci aspetteremmo, ma che la anticipa. Poi la descrizione prosegue non tanto con i connotati fisici della bella dea, ma si concentra sui colori. Sono tinte forti, appariscenti, che accompagnano con un’eleganza sospetta la sua apparizione. Dico sospetta perché ci siamo immediatamente fermati su questo due punti, voce e colori, e abbiamo cercato di mettere giù le prime impressioni. Colori forti: attraggono, sono simbolo di potere (connessione con alcuni ritratti rinascimentali visti in storia), affascinano. La voce appare quasi un flauto magico, che attira e seduce. Tinte forti che, secondo la loro esperienza di lettori, sono anche però indice di pericolo (nero dei capelli, tunica rosso porpora, monili d’oro). Circe seduce ma allo stesso tempo ci fa stare un po’ all’erta. Questo vale per noi lettori, ma la maggior parte degli uomini di Ulisse, invece, ci casca senza troppi problemi (e anche questo ha valore simbolico). Scopriamo poi che al braccio Circe ha legato un monile a forma di serpente: il richiamo al pericolo è immediato, ma la connessione con il serpente biblico apre una nuova breccia (anche lì, nel paradiso terrestre, le prime creature umane trovano un serpente, che seduce e inganna). Solo uno, Euriloco, si terrà in disparte, avendo, come noi, avvertito il pericolo di quell’attraente figura. Più scaltro dell’Adamo che cedette all’offerta tentatrice.

Intanto noi appuntiamo alla lavagna, sui taccuini. Ho fornito loro una tabella semplice: personaggio, indizi nel testo, richiami simbolici, connessioni.

Dopo aver analizzato la figura di Circe, che cela in sé indizi sulle sue intenzioni, si passa all’altra figura simbolica dell’episodio: il maiale. Questo ci consentirà di tornare, in conclusione, nuovamente alla figura di Circe.

Ho chiesto loro di provare a ragionare, come primissima impressione, a cosa il maiale richiamasse la loro mente per quel che è la loro esperienza di ragazzi, lettori: il maiale, raccolgo, è simbolo di bestialità, rozzezza, sporco, sottomissione a un padrone, una vita destinata all’ingrasso per poi essere mangiati…

Scrivo, annoto. Anche loro.

Però abbiamo bisogno delle evidenze nel testo, così ci torniamo su. La metamorfosi degli uomini in maiali è presentata in questa sequenza: Circe, dopo aver sedotto con cibo, doni, lusinghe e promesse di felicità gli esausti uomini di Ulisse, li stordisce con del nettare e li tocca con una verga. Cito liberamente: “dalle bocche non più parole, ma grugniti, sul corpo non più peli, ma setole, non hanno gambe e braccia, ma zampe ungulate, il volto non più umano, ma di porci…”.

Ora è il momento di connettere le nostre impressioni con le evidenze nel testo: i ragazzi richiamano subito il senso di bestialità, inteso come sottrazione della civiltà. Oltre all’aspetto esteriore questo dato è frutto di connessioni con episodi precedenti (postilla in conclusione). Polifemo è in-civile anche perché usa la parola poco e male. I suoi versi animaleschi sono indice della non civiltà umana. Nausicaa è ciò che invece manifesta per primo e di cui Ulisse si affretta ad accertarsi prima di avanzare. Ci hanno supportato anche le letture ad alta voce: in Buchi nel deserto di Louis Sachar, che abbiamo letto collettivamente, così come in John della Notte di Gary Paulsen, la parola è al centro di un’affermazione del sé all’interno della società, è la capacità di esprimere il proprio io, e alcuni dei protagonisti lottano per appropriarsene. La parola è civiltà, identità, conoscenza, appartenenza, espressione del proprio volere. È lo strumento chiave delle recenti proteste in Iran, che stiamo studiando più approfonditamente nelle ore di geografia, così come i richiami alla libertà di stampa e di espressione trattati nello studio della Costituzione. Così siamo giunti al primo significato simbolico: il maiale è la brutalità di chi si è fatto bestia, privato della parola, incapace di comunicare il sé e di far valere la propria volontà. L’immediata connessione è con l’idea di sottomissione: il maiale, come gli uomini di Ulisse in quel momento sono sottomessi al bastone della dea, hanno perso tutto ciò che li rendeva uomini d’azione, soccombono a qualcosa di più forte. E cos’è questo qualcosa?

Bisogna tornare da Circe, riprendiamo la tabella. Circe è figlia di due creature simbolo delle forze della natura, aria e acqua. Circe è in sé una forza della natura, la stessa che sottomette gli uomini al proprio volere, senza che essi possano in alcun modo scamparvi. Gli uomini che sfidano la natura, i propri limiti, che si lasciano sedurre dall’ignoto che attrae, sono destinati a soccombere. E questo i miti greci ce l’avevano insegnato molto bene in prima.

E ancora qualcuno dice: i maiali mi ricordano gli asini di Pinocchio! Anche loro si sono lasciati attrarre da un vantaggio troppo semplice da ottenere. Qualcun altro cita Hansel e Gretel, altri fiabe che richiamano allo stesso senso…insomma il topos è ricco e ben chiaro alla loro esperienza di lettori. E anche di questo i miti che fondano la civiltà greca ci avevano parlato chiaramente.

Abbiamo concluso con il cambiamento del personaggio. Circe da malefica diviene benefica: come mai? Cos’è cambiato? Perché quella forza della natura è stata costretta a frenare la sua potenza sugli uomini? Mi dilungherei troppo, ma rimando a un dialogo successivo, per chi ha voglia di approfondire insieme.

Si può fare sintesi nella tabella, poi a voce, di tutta questa negoziazione di significati estratti dal simbolo.

E quella di Circe è evidentemente qualcosa di più che una semplice favola, come l’adattamento proposto dal libro voleva farci intendere (anche nell’apparato di esercizi annesso).

 

ALTRI DUE ESEMPI, PER CENNI: LE SIRENE E LA MELA DI PARIDE.

Sarò brevissimo sulle Sirene. Dopo la lettura dell’episodio ho proposto ai ragazzi di lavorare allo stesso modo e organizzare il pensiero sempre dentro una tabella a due colonne. Prima colonna: Sirene. Seconda: Ulisse.

Sotto la prima colonna: Come sono, cosa fanno, di cosa sono simbolo (dall’evidenza all’interpretazione).

Stessa cosa per Ulisse, ma togliendo la parte del com’è, qui non serve. Cosa fa e cosa simboleggia.

Ulisse e le Sirene divengono simboli universali, anche nel loro vissuto. E i richiami a episodi precedenti o altre esperienze verranno da sé. D’altronde l’Odissea è potente proprio perché parla ancora a tutti e si fa modello universale di valori, espressioni, sentimenti che muovono l’uomo fin dalle origini della civiltà.

Il terzo esempio è preso dal lavoro in classe prima, sempre nel contesto delle ore di lettura. Il simbolo questa volta è quello della mela, apparso nel mito di Paride e il pomo della discordia. A innescare il conflitto, una domanda: “Prof, ma perché proprio la mela?”. Bell’assist. A quel punto ne ho approfittato per proporre una strategia di lettura del simbolo che ho tratto dal testo “Leggere, comprendere, condividere”, di Cavadini, de Martin, Pianigiani. È una tabella ordinata, che accompagna il pensiero e si adatta a un primo lavoro di esplorazione del simbolo con i più piccoli, che si affacciano da poco a letture un po’ più profonde.

Abbiamo preso la mela, siamo tornati sul testo, notato com’è descritta, che caratteristiche ha. Poi ci siamo concentrati sul suo significato. Perché proprio la mela? La domanda rimane lì.

Nell’immediato i ragazzi hanno fatto connessioni: la mela del Paradiso terrestre, di Eva, poi quella di Biancaneve. In entrambi i casi è una mela che attira e inganna, è frutto di un piano malefico, di una volontà distruttrice. Proprio come quella di Eris. La mela, frutto semplice, dolce, succoso, viene usato proprio per la sua apparente genuinità per tramare un tranello, un inganno. Ovviamente in tutte le storie i simboli sono più sfaccettati (la mela è il divieto per Eva, come la fine dell’età ingenua per Biancaneve), ma qui concordano sul suo potere malefico. La mela è il tranello stesso: questo accende numerose connessioni con la loro vita, esperienza e io le accolgo tutte, pur dentro una parziale pertinenza, perché questo lavorìo ci aiuta a limare, ragionare, fino ad arrivare al cuore della questione che il simbolo mette in moto.

La mela è anche il motivo futile che ci fa litigare, dicono altri, qualcosa di banale, semplice, ma che scatena zuffe tremende. Il dialogo continua ancora un po’.

Non male, abbiamo negoziato significati e operato connessioni con la loro vita.

Proprio come i simboli ci insegnano: mettere insieme, unire in un tutto che ha un cuore di senso acceso e in attesa di essere continuamente scoperto.

 

Postilla su Polifemo e Nausicaa: con Polifemo e Nausicaa solitamente lavoro sul tema dell’ospitalità, sono i due esempi che ne incarnano la più o meno realizzazione. Cerchiamo nel testo tutti gli indizi che ci portano a formulare e sostenere queste ipotesi, partendo dallo studio di quel valore nella cultura greca. In merito alla parola, quello dei Feaci è il regno in cui la parola trova compimento nelle sue forme più nobili. È accoglienza, diplomazia, canto, preghiera e racconto. In Polifemo è esclusiva esternazione di una bestialità volta alla distruzione dell’altro e all’assecondare i propri istinti. Parola sacra e parola empia. La facoltà di parola è sintomo di civiltà, ciò di cui si accerta per primo Odisseo quando incontra Nausicaa. Odisseo è l’eroe che usa la parola per svelare se stesso, ingannare, affabulare. Non poterebbe essere altrimenti. 



 


Autore - Riccardo Abbadessa

Insegnante di Scuola secondaria di Primo Grado a Padova

Data di pubblicazione - 13/03/2023