DI MERENDE CON DELITTO E LUDERE CON LA STORIA

Ludere vuol dire amare, studiare, combattere e impegnarsi. Giocare, anche” [1]

Una premessa, prima di giocare.

Fare didattica della storia mediando il contenuto attraverso il gioco: è possibile?

Tenterò una risposta più ragionata a questa domanda in conclusione di questo articolo, ma posso esordire affermando che in questi anni ho imparato, grazie a diversi maestri e a molto studio personale, che il gioco può divenire strumento di conoscenza e immersione profonda nel fatto storico.

La letteratura in merito è già numerosa e in continua crescita, il dialogo ancora aperto, per cui, considerato lo scopo dell’articolo, che si configura come una proposta didattica concreta da portare in classe, sarò breve in questo senso. Non ho infatti la pretesa di essere esaustivo sull’argomento, anzi, farò solo brevissimi cenni metodologici e teorici, concentrandomi soprattutto sull'attività e sulle riflessioni personali che essa ha generato, nella speranza che questo spunto possa essere foriero, per chi lo leggerà, di altre domande, dialoghi, ricerche personali sul tema.

Gli insegnanti, e con essi gli storici che si occupano anche di didattica, si interrogano da tempo su come e se tentare a scuola forme di apprendimento che possano tener conto del ludus, inteso come atto ludico che implica impegno, passione, coinvolgimento, fatica. Le posizioni sono diverse, talvolta contrastanti, ma nel corso di approfondimenti personali sull'argomento, ho fatto mie, per esperienza e comunione d'intenti, gli argomenti su cui riflettono alcuni storici, come Antonio Brusa (il quale, per nostra fortuna, insieme al gruppo di docenti e storici di Historia ludens, mantiene vivo e attuale il dibattito in Italia, con contributi sempre preziosi) e Alessandra Ferraresi che, in un loro saggio dal titolo Clio si diverte, scrivono:Il gioco all’insegna della paidia è libero, improvvisato, spensierato; quello all’insegna del ludus propone “il gusto per la difficoltà gratuita”. La corsa sfrenata a rompicollo giù per una discesa è un gioco sotto l’egida della paidia; l’alpinismo è un’attività ludica all’insegna del ludus.

Il ludere così inteso si fonda su una dimensione di apprendimento che può trovare più ampio sviluppo in tre nodi ulteriori: azione, relazione, comprensione. E ciascuno di questi nodi richiama l’altro, poiché sono interdipendenti e in un qualche modo propedeutici al reciproco sviluppo.

Un’idea di storia

Come racconto sempre ai ragazzi nei primi giorni di scuola, mentre ci approcciamo pian piano alla disciplina, mi piace sempre pensare alla storia come uomo in azione. L’uomo, infatti, inteso come creatura vivente e senziente, agisce e impatta nel tempo, in tutte le sue dimensioni temporali, incide cioè su quella palla di cera che abitiamo, per richiamare i versi di una bella poesia di Maria Luisa Spaziani. [2]. L'uomo è per sua natura storia poiché agisce e crea dinamiche storiche e, a sua volta, la storia è memoria anche dell'uomo sulla Terra.

L’uomo in azione compie scelte, dettate certo da contingenze fortuite o calibrate, volontà o pura casualità. Eppure una singola scelta, il dire un sì o un no dinanzi ai fatti del mondo, genera effetti che si riverberano irrimediabilmente nel tempo. Noi stessi siamo figli ed eredi di quei riverberi. Ecco, entrare all’interno di quella scintilla che genera l’azione è il primo passo per tentare una comprensione più profonda dell’agire storico. Credo, infatti, che lo/a storico/a abbia il compito di far emergere dal porto sepolto del tempo, le ragioni autentiche di un agire che ci riguarda da sempre e di cui anche noi, nel quotidiano, siamo protagonisti. Ogni nostra scelta, benché non abbastanza potente da meritare di essere tramandata in un libro scolastico, è generatrice di storia. Quando decidiamo di custodire memoria, dunque di scrivere, di illustrare, di prendere una direzione e non un’altra, di scegliere insieme ai nostri figli, alunni, amici, di optare per una direzione fra le tante che si impongono dinanzi alla nostra vita, di affrontare una gioia o un dolore in un certo modo, ecco, tutte le volte che facciamo questo, stiamo scrivendo storia. Una storia che vivrà nell’intimo della nostra casa o varcherà i confini del mondo o riguarderà noi stessi e basta. Ma è storia, poiché il movimento di tutte le donne e gli uomini riguarda un flusso ininterrotto che ogni giorno, nel mondo, trova compimento e genera effetti più o meno evidenti, ma esistono e, come tali, incidono. Un piccolo graffio, un solco che crea confini, non importa. Il segno c'è. Probabilmente a molti lettori queste sembreranno scontatezze, ma le ritengo necessarie per avviare un dialogo con bambini che iniziano a ragionare sulla storia.

Questa è la premessa con cui introduco la storia in classe prima. Per almeno le prime due settimane di scuola, nelle ore di storia, agli studenti e alle studentesse della classe prima non chiedo di portare il libro, ma solo il quaderno. Lì fisseremo alcune delle scoperte di quei primi giorni insieme. Chiedo loro quali siano gli eventi della loro vita più importanti, le loro passioni, i loro gusti, cosa abbiano scelto da soli (con quali conseguenze?) e cosa insieme ai loro genitori (perché è necessario?) o, ancora, cosa non possano scegliere in autonomia, ma vorrebbero (perché non possono, perché vorrebbero?). Tutto va riportato alla loro dimensione, per cui, attraverso un dialogo libero, ma sollecitato da domande di qualità, che possano cioè generare altre domande per scavare a fondo, e supportato da un piccolo organizzatore grafico in cui raccogliere le proprie piccole riflessioni, arriviamo a definire questo: che ciascuno di noi, proprio in virtù di tutti gli elementi raccolti, sta scrivendo la propria storia dentro un flusso di azioni in parte già date e altre in continua genesi ed evoluzione, ma nel quale si sono innestate le loro particolarissime vite e di cui loro stessi sono protagonisti attivi.

Il passo successivo a questo dialogo è il tentativo di portarci dall'altro lato. Non più dalla parte di chi genera storia, ma dalla parte di chi studia, indaga, la storia: dalla parte dello storico. Attraverso un gioco cooperativo, che andrò a descrivere dettagliatamente in seguito, il mio intento è quello di provare a cogliere i meccanismi della storia dalla parte di chi cerca con passione e competenza quella “scintilla dell’azione” cui accennavo prima. Tutti i ragazzi e le ragazze, attraverso un processo ludico di immedesimazione, diventeranno ricercatori, o meglio investigatori, di un caso storico di finzione.

Il genere che meglio si presta a questo tipo di attività è sicuramente il giallo, poiché dentro la struttura narrativa d’intreccio sono presenti tutti gli ingredienti che occorrono per cogliere anche le dinamiche di un fatto storico e il processo che in linea di massima porta alla sua definizione:

  • Un accadimento importante;

  • Una linea temporale da ricostruire;

  • Delle ragioni da rintracciare attraverso la ricerca;

  • Degli indizi-fonte;

  • Dei testimoni;

  • Un’ambientazione definita, ma non del tutto rivelata.

Il racconto giallo permette dunque di simulare, sebbene in una condizione ideale e di finzione, il compito dello storico e il modo in cui egli valuta, ragiona, ipotizza, verifica, di fronte alla storia che gli si pone dinanzi.

Altro dato che ritengo importante: la scintilla dell’azione la si scopre con la scintilla della curiosità. L'atto d'indagine dello storico è esso stesso azione, coinvolgimento, genesi di novità, ricerca di nuovi saperi. I ragazzi e le ragazze lo scopriranno in seguito, quando si cimenteranno con alcuni piccoli giochi e indovinelli che il gioco propone loro.

Qui rientrano le altre due dimensioni cui accennavo inizialmente: agire che si fa relazione e che porta alla comprensione profonda dell’oggetto storico.

Il gioco di per sé implica relazione, a meno che non sia solitario, ma come per gli storici, raramente e a fatica chi fa ricerca è solo nei suoi studi. Dunque anche nel gioco della storia si collabora in piccolo gruppo, ciascuno con le proprie forze, i propri talenti, i propri modi di comunicare, la capacità attendere il proprio turno di parola, la tenacia nel cercare la soluzione attraverso un ragionamento che implica anche attesa, pazienza, un adeguato tempo di lavoro.

Certo, sono le prime settimane di scuola: se qualcosa si manifesta, si tratta solo di piccoli germogli da custodire e osservare nel tempo.

Riscaldamento:

Prima di cominciare con i lavori, però, propongo ai ragazzi alcune mappe di raccolta delle idee: ragioniamo precisamente su Cos’è il tempo e Chi è uno/a storico/a.

Depositiamo riflessioni, parole, idee che riprenderemo successivamente al gioco. A questo scopo alterno mappe delle idee con alcune routine proposte soprattutto dal gruppo di lavoro del Making thinking visible. Le riproporrò nel corso dell’anno (non solo in storia, ma soprattutto in italiano), come per esempio “Pensa, chiediti, esplora”, “3, 2, 1…ponte”, “Bagaglio, scintilla, novità” (quest’ultima è una dicitura personalizzata del cosa so, cosa mi incuriosisce, cosa ho imparato di nuovo).

Andiamo nel vivo. Di cosa si tratta e come si gioca?

In realtà si tratta di un gioco di ruolo ampiamente noto, che qualcuno di voi, anche da grande, avrà fatto in casa con gli amici o a una festa particolare. È la classica merenda con delitto, in cui i partecipanti, attraverso una serie di prove che generano indizi, devono tentare di arrivare alla risoluzione di un caso che va definendosi, comein questo caso, dentro una cornice narrativa.

Per poterlo impostare mi sono affidato a una preziosa pubblicazione fatta dalla casa editrice Giunti sul proprio sito (v. sitografia). Il caso è tratto da un bel romanzo di Tommaso Percivale, Il mistero di Villa delle Ginestre, che fa parte di una più ampia collana di libri per ragazzi, Giallo e nero.

La casa editrice mette a disposizione gratuitamente tutti i materiali da scaricare, ed eventualmente stampare, per poter giocare.

L’attività proposta dalla casa editrice non nasce con intento didattico, tanto che gli inviti sono pensati per una festa di compleanno o una pizza fra amici, ma nell’osservare i materiali e, dopo averci giocato io stesso, mi sono reso conto che le competenze messe in azione con un’attività simile potevano essere sfruttate per introdurre ragazzi e ragazze al mestiere dello/a storico/a, con affondo particolare, poi, sull’uso delle fonti.

Gli obiettivi che mi pongo per questo tipo di attività, infatti, sono essenzialmente questi:

  • Favorire, all’interno di una dimensione ludica (dunque di divertimento, competizione e impegno), un clima cooperativo e collaborativo, che contribuisca anche alla formazione del nascente gruppo classe;

  • Conoscere e approfondire le dinamiche dell’agire dello storico;

  • Conoscere e classificare le principali fonti di cui si serve lo storico;

  • Scoprire e comprendere l’uso di fonti da parte dello storico;

  • Generare fonti: creazione di una capsula del tempo.

Le competenze che il gioco mette in atto sono numerose, sia dal punto di vista civico e relazionale, sia didattico. In particolare:

  • Capacità di confronto fra pari;

  • Cooperazione per il raggiungimento di uno scopo comune;

  • Capacità di ascolto;

  • Ragionare a partire da dati non noti, attraverso un metodo in parte deduttivo, in parte induttivo;

  • Saper vagliare i dati a disposizione per elaborare, in modalità cooperativa (dunque applicando strategie di mediazione), una trama plausibile e coerente, che supporti le diverse sequenze della narrazione.

Operazioni preliminari per organizzare il lavoro:

  • Organizzo la classe in 6 gruppi da 4 persone (solitamente ho classi da 24 studenti, ma il numero di gruppo e componenti è da calibrare a seconda del proprio contesto). Li conosco poco, se non per nulla, per cui cerco di equilibrare i gruppi di lavoro per quel poco che so di loro. Non si indovina (quasi) mai con i gruppi, ma si può fare un tentativo. Per questo tipo di attività e per il momento in cui viene proposto, poi, non è essenziale;

  • Preparo il materiale necessario. Per una scelta personale, pur lavorando in una scuola digitalizzata in cui tutti possiedono un I-pad, preferisco che lavorino manualmente: toccare, tagliare, incollare, strappare…fanno parte della scoperta e sono utili a una mia prima osservazione dei ragazzi in azione;

  • È importante custodire il materiale perché gran parte di esso potrà essere riusato negli anni successivi.


Quale materiale occorre?

  • 6 scatole di cartone con coperchio. Su ciascuna scrivo “Fascicoli dell’indagine + reperti Gruppo…”;

  • Preparo penne, fogli bianchi, colla e forbici da inserire in ciascun kit;

  • Stampo tutti i reperti a disposizione (un kit per gruppo) e li ritaglio. Ciascuno è chiuso in un modo diverso affinché anche l’analisi diventi esercizio manuale: un elastico, puntine da staccare con attenzione per non strappare il foglio, un piegamento particolare, un fiocco vistoso…sono tutte opzioni personalizzabili e il kit ha delle istruzioni molto chiare in merito. Ogni reperto è connesso a un tipo di fonte: scritta (es. articolo di giornale), iconografica (fotografia e mappa), materiale (es. la matita), orale (es. testimonianza contessa). Ciascuna va letta e interpretata in modo specifico affinché possa "parlare" allo storico/a - investigatore;

  • Stampo i fascicoli per ciascun/a alunno/a, affinché tutti possano seguire la storia con attenzione e lavorare sul proprio testo, segnando idee, parole chiave utili alla risoluzione;

  • Una dritta sui materiali: consiglio di stampare la mappa e la foto di famiglia in A3. Sul retro della foto di famiglia incollerete anche il testo - indovinello da usare successivamente;

  • Ho aggiunto un reperto non presente nella storia: una fonte orale, ovvero la registrazione di una telefonata della contessa, intercettata dalla polizia. Ho chiesto a un’amica di poter prestare la sua voce alla causa, modificandola poi con l’effetto telefonico (per questo tipo di lavori uso Audacity). Il reperto è stato inserito quasi a conclusione della storia, nel paragrafo “Il confronto”, ma anche questa opzione è personalizzabile;

  • Stampo gli inviti allegati al kit di materiali: li faccio trovare il giorno precedente sui banchi, segnando il loro nome, la classe e l’attività. Tutti gli inviti, divisi in pacchetti da 4, riportano una lettera dell’alfabeto in comune, che sarà utile per la formazione dei gruppi di lavoro il giorno dell'evento. I ragazzi si cercheranno e suddivideranno autonomamente fra le postazioni. Sul muro, per mia comodità (non conosco ancora bene tutti i nomi) e per creare una particolare atmosfera da reparto speciale di polizia, attacchiamo con lo scotch-carta un foglio riportante i loro nomi ed eventualmente il nome che il gruppo decide di assegnarsi. Uno degli inviti, in ciascun gruppo, sarà inoltre contrassegnato con un simbolo speciale o un adesivo. Scopriranno la mattina del gioco che varrà come elezione a capogruppo. Gli inviti creano attesa e molta eccitazione. Preparatevi a un carico di domande e adrenalina la mattina successiva. Io solitamente prevedo il gioco nelle prime ore, così da soddisfare quell’eccitazione che altrimenti si riverberebbe su tutte le altre lezioni;

  • Ultimo, ma non ultimo (fidatevi!), la merenda. Biscotti e un po’ di cioccolata, qualcosa di buono da bere per rinfrescarsi. A metà della narrazione, infatti, i lavori si interrompono momentaneamente per fare una ricarica di energia. Pongo molta attenzione a eventuali intolleranze e allergie informandomi presso la segreteria di comunicazioni in merito. Richiedo, per sicurezza, anche prima di cominciare.

Comprendo che possa sembrare impegnativo e, non lo nascondo, lo è. Soprattutto in termini di tempo. Tuttavia il grosso del lavoro lo si fa la prima volta, poi si capiscono meglio dinamiche e strategie per risparmiare tempo, conservare il materiale, personalizzare l’attività per i propri spazi e strumenti.

Le fasi del gioco:

  • La classe è sistemata a gruppi di 4 banchi, in modo tale che gli alunni siano uno di fronte all’altro (quadrato o croce);

  • Consegno a ciascun gruppo la scatola con il kit dei materiali;

  • Chiedo a tutti i ragazzi e le ragazze di prendere un fascicolo, su cui scriveranno il proprio nome;

  • Chiedo poi a chi ha scoperto di avere l’invito con il simbolo misterioso di palesarsi: sarà lui il/la capogruppo, l’unico/a autorizzato/a ad accedere alla scatola e a recuperare i reperti per tutti. Solitamente il gruppo, benché tentato dalla curiosità, accetta l’elezione di un/a rappresentante. Questo aiuta anche a gestire i tempi e a far emergere le personalità di ciascuno. Qualcuno sarà impulsivo, qualcun altro anche disobbediente, emergerà chi invece è remissivo, chi gioca per vincere da solo e chi ancora si implica nel gioco accettandone tutte le regole. Solitamente questi ultimi sono buoni trascinatori e riescono a recuperare anche tutti gli altri, soprattutto chi è in difficoltà e non riesce a stare sempre al passo. In tutti i casi, come ben sapete, sarà il nostro occhio di insegnante a captare i momenti in cui il gruppo necessita di supporto nelle diverse tappe del gioco;

  • Inizio la narrazione del caso. Nella dinamica del gioco chi narra è il comandante della polizia investigativa che chiede il supporto di squadre speciali per la risoluzione del caso, poiché molto complesso (molto americano, ma anche questo crea atmosfera e immedesimazione). Il racconto è strutturato in sequenze, ciascuna delle quali prevede la risoluzione di un piccolo gioco o indovinello. Quando mi fermo chiedo al/la capogruppo di prelevare il reperto e metterlo a disposizione di tutti. Lascio del tempo ai gruppi per poter ragionare e arrivare alla soluzione. Discutono e prendono appunti su uno dei fogli bianchi. Qualora facessero molta fatica, intervengo con un piccolo indizio (sono previsti anche dal kit);

  • È da prevedere un certo grado di rumorosità, accettabile a nostra discrezione. I ragazzi capiscono subito che gridare la soluzione non aiuta. Sarà un solo gruppo a vincere, a seconda dell’esattezza degli indizi raccolti. In tutti i casi mi servo di un piccolo campanello per decretare inizio e fine delle singole indagini/risoluzione dei giochi;

  • Il racconto è supportato da un semplice power point (realizzato da me) proiettato alla Lim, per far comprendere a tutti di che reperto stiamo parlando e per ingrandire eventuali dettagli;

  • Al termine della narrazione tutti i gruppi d’indagine avranno a disposizione un certo tempo per rielaborare i dati raccolti, gli indizi studiati, e stilare un’ipotesi di risoluzione del caso. Chiedo loro di fare attenzione a quanto vagliato poiché il racconto, anche se non corrispondente alla soluzione “ufficiale”, dovrà risultare coerente all’indagine collettiva;

  • Per aiutarli preparo un foglio con alcune domande, anch’esse fornite dal kit. Per scrivere chiedo loro di usare un foglio condiviso su Google documenti (avendo i tablet a disposizione), ma carta e penna andranno bene ugualmente. Uno dei partecipanti può scrivere per tutti. Questo punto può essere svolto anche a distanza di tempo, ad esempio il giorno successivo. I ragazzi continuano a casa, a volte anche chiamandosi o trovandosi al pomeriggio per continuare a scrivere la loro ipotesi. Ma lascio a loro iniziative di questo tipo che, quando accadono, generano relazione positiva;

  • Ascolto l’esposizione di tutte le ipotesi e, nel frattempo, prendo appunti seguendo alcuni criteri:

      • Coerenza;

      • Uso di tutte le fonti a disposizione;

      • Collaborazione (capita che ci siano diverse scuole di pensiero nel gruppo: hanno mediato? Si sono divisi? Qualcuno è riuscito a prevalere con la sua ipotesi convincendo tutti gli altri?);

      • Grado di approssimazione alla soluzione ufficiale.

  • Infine leggo la soluzione del caso fornita dalla casa editrice. Spesso i ragazzi rimangono sorpresi di quanto siano lontani dalla verità o, al contrario, abbiano raggiunto un ottimo livello di approssimazione. Questa sarà anche l’occasione per chiarire (lo si può fare successivamente) che il lavoro dello storico è fatto proprio in questo modo: indagini e ipotesi si incastrano e vanno verificate con la realtà del contesto in cui sono operate. Non sempre si riesce a raggiungere la soluzione sperata, per cui la ricerca rimane aperta. Lo storico, prima di tutto, sa attendere pazientemente e continua nel suo lavoro da palombaro;

  • Ogni squadra riceve un feedback da parte mia sui criteri che ho valutato nel decidere il vincitore;

  • Si conclude con la merenda avanzata (se lo è) e la stesura della classifica (i primi 3 gruppi), che verrà appesa in bacheca. C’è anche un piccolo premio, solitamente penne o matite colorate per i primi classificati. È un momento di festa, in cui tutta la classe partecipa della vittoria. Non mi è mai capitato che qualcuno fosse contrariato dai risultati. Perché il gioco è anche questo: accettare le regole e di non arrivare primi. Anche la sconfitta, se condivisa, si alleggerisce e diviene occasione di apprendimento. Per sciogliere eventuali tensioni che potrebbero tuttavia generarsi, facciamo in modo che il momento conclusivo sia di successo per tutti, valorizzando i risultati raggiunti da tutti i gruppi di lavoro.

Come prosegue il lavoro in classe? Le tappe essenziali.

Passata l’euforia del gioco, cosa ne rimane? Abbiamo imparato qualcosa? L’attività svolta insieme può essere occasione di conoscenza profonda del lavoro dello storico e dei suoi strumenti?

Sì, può esserlo. Bisogna solo raccordare idee e scoperte, operare connessioni, fare sintesi.

Ma prima un altro passo: costruire insieme una capsula del tempo. Saremo noi ora generatori di fonti. Lascio questa sequenza di lavoro a un approfondimento più accurato, poiché altrimenti mi dilungherei più di quanto non abbia già fatto.

In estrema sintesi: inseriamo in una scatola diversi tipi di fonti: un messaggio scritto a penna, un disegno, nostre foto, una traccia audio, un testo in codice Morse, un oggetto che ci sta a cuore, una lettera rivolta a noi stessi del futuro. La capsula, infatti, verrà sotterrata e riaperta in terza media. L’eccitazione cresce, vedrete tutti coinvolti alla realizzazione della capsula e al momento della deposizione.

Il gioco e la capsula del tempo sono momenti che definirei magici per la classe, fondanti, e per mia esperienza vedrete che saranno ricordati sempre, in più occasioni. Costituiranno la storia del gruppo, una prima tappa del cammino che li ha resi classe, ha permesso loro di conoscersi, confrontarsi, discutere. Per questo è bene procedere con calma e studiare nel dettaglio ogni passaggio. Non tutto sarà perfetto, ma aggiusterete il tiro strada facendo e nel corso degli anni in cui lo riproporrete.

Conclusa questa seconda attività, in classe, sul quaderno o sul dispositivo a disposizione, ragioniamo insieme su quanto accaduto, tornando sulle nostre mappe iniziali. Cerchiamo le parole che si illuminano di più, poiché ne abbiamo maggiore consapevolezza, ne aggiungiamo di nuove, altre ancora capiremo che non c’entrano con quello che abbiamo scoperto.

In una lezione successiva presento loro i tipi di fonti con cui lo storico si trova a lavorare, connettendoli sia ai reperti del gioco sia a ciò che abbiamo inserito nella capsula del tempo. Infine compiliamo insieme un file che ci aiuta a fare sintesi.

La scoperta prosegue nelle lezioni successive con l’analisi di alcune fonti, partendo solitamente da quelle che riguardano la loro vita, per poi passare ad altre che fornisco loro. Anche per questo si richiederà un ulteriore approfondimento.

Prima di giungere al libro, studiamo e interpretiamo insieme una fonte che incarna la storia: L’allegoria della storia di Cesare Ripa, storico e scrittore perugino vissuto fra il ‘500 e il ‘600. Ci aiuta bene a ridefinire alcuni assunti fondamentali della storia e della portata che essa ha per l’uomo.

Contemporaneamente, in scrittura, propongo un lavoro di metacognizione sull’attività svolta. Cosa ho fatto, perché, cosa ho imparato, cosa mi ha entusiasmato e cosa meno, che domande ha generato in me (…).

Valutare o dare valore?

La domanda che mi pongo è sempre questa. L’attività proposta, per la sua natura, per il momento in cui è proposto e per mia scelta personale, non è oggetto di valutazione. Non conosco ancora bene i ragazzi per poter associare a essa un giudizio numerico. Oltretutto non c’è una produzione che mi consenta di farlo in modo oggettivo. Ma non me ne preoccupo poiché ciò che desidero per quel pezzetto di strada insieme è dare valore, creare valore. E lo faccio, in quel contesto, mettendoli in azione e relazione (sì, certo, anche un giudizio numerico può essere valore, ne sono abbastanza convinto, ma questa è un’altra storia e si dovrà raccontare un'altra volta…). Considerate le numerose competenze messe in moto, a me riservo una serie di osservazioni iniziali che mi saranno utilissime per iniziare a conoscerli.

Ma allora vale la pena giocare a scuola? Si può insegnare giocando?

La risposta, come avrete intuito, è assolutamente affermativa. Si può fare, in molteplici modi e su scala differente a seconda dell’età degli studenti e delle studentesse. Nel corso dei tre anni, infatti, propongo altre attività ludiche, che si adeguano alla crescita e all’esperienza della classe, alle competenze maturate ed esercitate fino a quel momento. L’importante è che il gioco proposto:

  • sia ben pianificato;

  • sia testato personalmente da noi;

  • risulti inclusivo;

  • stimoli il ragionamento;

  • sia cooperativo;

  • abbia come fine ultimo lo sviluppo di competenze per noi ben chiare e adeguate all’età degli studenti cui lo proponiamo. Per questo mi rifaccio quasi sempre a una programmazione a ritroso, partendo da obiettivi e traguardi di sviluppo delle competenze per poi arrivare a definire la proposta.

Riprendo una delle parole appena elencate. Il gioco cooperativo deve necessariamente essere inclusivo, per la natura stessa delle nostre classi, eterogenee e ricche. Deve cioè permettere a tutti di avere un compito specifico, adeguato alle proprie capacità, di manifestare una propria competenza, pur minima, che sia utile al raggiungimento dello scopo dell'intero gruppo (io so tagliare bene, prof!), di trovare uno spazio comodo in cui operare in libertà e poter chiedere aiuto qualora emerga una difficoltà.

Il gioco è inoltre un modo per entrare nei meccanismi più profondi della disciplina: il fare e poter visualizzare il pensiero aiutano a comprendere, a scrutare più da vicino realtà che a primo impatto possono sembrare astratte o finte. Mi capita spesso che i ragazzi, quando racconto loro la storia, mi chiedano: prof, ma è successo davvero? Non ci posso credere! Pur dentro un contesto fittizio, il gioco permette di capire che lo storico non è un narratore, ma uno scienziato, che usa un metodo scientifico e si trova dinanzi a dubbi, difficoltà, continua ricerca. Che deve collaborare con altri scienziati, esperti, e il dialogo non è sempre semplice. Che non è tutto dato, bensì in divenire: è necessario tornare sul proprio lavoro, rifinire, precisare. Che questo continuo lavorio richiede un certo grado di impegno e partecipazione. Ma soprattutto che indagare la storia è cosa vera, ricca, intensa, poiché genera continuamente domande pur fornendo molte risposte importanti.

Le fonti torneranno in ogni argomento che si affronterà in classe. E dinanzi a un quadro, una lettera, un manufatto, spontaneamente i ragazzi tenteranno di classificare quella fonte. Talvotla toccherà a noi stimolarne la curiosità, ma mi capita sempre più spesso che, di fronte a una narrazione della storia, soprattutto nei suoi punti salienti, mi chiedano: prof, ma come facciamo a saperlo? Chi ce lo dice? Come hanno fatto a capire che…?[3]. Ci siamo, questo è il lavoro dello storico. A scuola ci sono studenti e studentesse che esercitano criticamente il proprio sguardo sulla conoscenza. Chiedono i perché, vanno a caccia di ragioni. Non è tutto scontato, non una bella e ricchissima favola, ma realtà viva, attraversata da donne e uomini che hanno agito o in azione (insisto!), un paziente e lunghissimo lavoro di indagine, spesso ancora in itinere o su cui ci sono molteplici dibattiti in corso.

Ricordo, per esempio, la domanda di una mia alunna, quando raccontai che Attila probabilmente fu spinto ad allontanarsi dall’Italia non solo dall’incontro con il papa, ma in seguito a un’epidemia di malaria in centro Italia.

“Prof, ma come facciamo a sapere della malaria? Come si fa a sapere di una malattia dopo tanti secoli? Chi ce l’ha detto?”, chiese. La prima ipotesi fu quella di una qualche cronaca scritta, ma subito partì un movimento collettivo di ricerca che ci condusse ad alcune ricerche secondo cui, a seguito della scoperta di un vero e proprio cimitero di bambini in centro Italia e allo studio dei resti lì rinvenuti, gli storici ipotizzarono con maggiore certezza gli effetti della malaria su di essi. Ecco la ricerca, lo studio, l’uso delle fonti.

Ed ecco il manifestarsi dell’idea di scuola che più mi piace: quella che insegna a interrogarsi, dubitare, andare a fondo. Una scuola che si fa ogni giorno, non è mai compiuta del tutto.


[1] Dal sito Historia Ludens, scritta scorrevole in homepage, a cura di Antonio Brusa et alii.

[2] Spaziani M.L., Aspetta la tua impronta, in Poesie, Mondadori, 2000.

[3] Per questo punto tornerà utile un’altra strategia del Making Thinking visible, Cosa te lo fa dire?


Sitografia essenziale e accesso ai materiali personali:


Bibliografia essenziale:

  • Brusa A., Giochi per imparare la storia. Percorsi per la scuola, Carocci editore, 2022;

  • Ligabue A, Didattica ludica. Competenze in gioco, Erickson, 2020;

  • Mughini E., Panzavolta S. (a cura di), Making Learning and Thinking Invisible. Rendere visibili pensiero e approfondimento, Carocci editore, 2020.

  • Petruzzi V., Il potere della gamification. Usare il gioco per creare cambiamenti nei comportamenti e nelle performance individuali, Franco Angeli, 2015;

  • Joan Santacana Mestre, Nayra Llonch Molina, Fare storia con gli oggetti, Metodi e percorsi didattici per bambini e adolescenti, Carocci editore, 2022.



Autore - Riccardo Abbadessa

Insegnante di Scuola secondaria di Primo Grado a Padova

Data di pubblicazione - 23 gennaio 2023